I PRIMI TEMPI
Eravamo bambini, c’era sempre molto lavoro da fare in casa e non rientrava nella nostra vita quotidiana interessarci al rifugio quando vedevamo, alla domenica, il papà che prendeva la moto e con lo zio Italo andava “al monte” e come lui tanti altri del paese. Nei giorni festivi in estate era quasi un rituale per molti del paese fare un giro al Volano. Io, però, prima di sette fratelli e con la mamma negoziante, non ne avevo il tempo. Ma, all’improvviso, ecco che le mie domeniche si sono liberate: la gestione del rifugio toccava alla mia famiglia ed io ero la prescelta.
I primi tempi
Di punto in bianco fare la rifugista 30 anni fa non era molto semplice. “Andare al monte” faceva pensare ad un posto lontano, distante dalla vita reale. Mi ricordo che la strada per arrivare era alquanto dissestata ( ora è migliorata, anche se ancora insoddisfacente), il papà aveva una jeep campagnola della Fiat ( il mezzo migliore che abbiamo mai avuto) ed io usavo il trial Fantic dello zio, per andare e tornare dal rifugio. Mi sentivo poco all’altezza, capace solamente di versare un bicchiere di vino o un “grappino”. Devo ringraziare una coppia di miei compaesani, Battistino e Giovanna, che trascorrevano le domeniche in Volano,se sono riuscita a superare i primi tempi. Subito, essendo io inesperta del mestiere, si sono prestati aiutandomi con gli escursionisti e dandomi ciò che mi mancava, come per esempio, il ricordo è ancora chiaro in me, la caffettiera. A sostenermi, inoltre, ci sono sempre state le zie, sorelle della mamma, durante il periodo delle ferie.
COM’ERA
Entrando nel rifugio: alla destra, superata la porta, un banco di legno,da bar, rivolto verso la stanza, con, alla parete che guarda il Tredenus, una vaschetta di plastica azzurra come lavello. Le pareti nere per il fumo della stufa a legna e due lunghe tavolate,una a destra e una a sinistra. Il pavimento era di assi ed il soffitto di asticelle e paglia.
Un muro spesso un metro divideva la stanza da un’altra, alla quale si accedeva per mezzo di un’apertura , dove si trovavano due letti a castello a due piani , una scala di legno a pioli che portava al solaio, una cameretta e una piccola cucina. Nel piano sottostante si sentiva che c’era stata e c’era, ora vuota, una vecchia stalla. Al piano di sopra a destra una specie di solaio ed a sinistra uno spazio con alcune brande ed una grande apertura scoperta che fungeva da finestra e che noi coprivamo con del cellophane per ripararci quanto possibile dall’aria notturna.