(…Continua)
Seconda parte
Nel volgere di breve tempo i camerati tedeschi erano divenuti nemici e, secondo l’appello del nuovo governo, bisognava opporre loro resistenza. Chi per fede politica, chi per il caos che ormai imperversava, molti giovani e uomini adatti al lavoro ed alle armi erano praticamente spariti. I repubblicani, con una serie di rastrellamenti nelle città e nelle campagne, li disarmano e a mezzo tradotte li trasferiscono…
Ricorda ancora Giovanni “ol Gioanete” quel rastrellamento…
“I soldati semplici vivono e muoiono in guerra senza che nessuno se ne accorga. Dopo 18 mesi di stenti in Russia tornai a casa con una licenza di quindici giorni. Un giorno un aereo alleato lasciò cadere dei volantini nei quali si diceva ai soldati di non partire, di darsi alla macchia ché la guerra era ormai allo stremo. Invece una mattina, mentre ero in montagna con un compaesano( tale Pipì de Zanì, uno dei pochi ad avere la radio), mi fu detto che la guerra era ben lungi dal terminare. L’avevano detto alla radio. La guerra continuava. Io, ed altri come me, rimasi nascosto giorno e notte. C’era anche mio fratello Giacomo, del 1926(e quelli del 1926 sembravano ancora più necessari!). Ci si arrangiava come si poteva. Noi, in una casa del paese, avevamo una botola nella stalla che, coperta di pagliericcio, dava nella volta sotterranea, per le emergenze, ma una mattina fummo sopraffatti da uno dei tanti rastrellamenti. “Stanno passando di casa per casa, angolo per angolo”- ci dissero.
…Scappammo con Giacomo in direzione della chiesa intenzionati a tentare un rifugio tra le canne dell’organo, ma il parroco non volle assumersi cotanta responsabilità(già il parroco di Zazza, nel tentativo di nascondere dei partigiani, o meglio sedicenti tali, fu ucciso con una raffica di pallottole sparategli alle spalle). Scendemmo allora per la corte della casa canonica, in direzione del castello, gatton gattoni nell’erba bagnata da una pioggia che sembrava foriera di sventura. E lo fu. Arrivati sul castello( una volta lì saremmo scappati giù per la “tabulina”, e forse..) alzato lo sguardo ci trovammo i moschetti delle baionette puntati in volto. Ci avevano presi. Eravamo finiti…io e mio fratello Giacomo…Ci portarono davanti alla porta della chiesa parrocchiale, dove intanto si stava celebrando la messa mattutina. Qui il comandante ci disse che se avessimo avuto qualcosa da chiedere a Dio quello era il momento di farlo, giacché per noi sarebbe stata la fine…In quel mentre le donne uscirono di chiesa e tra esse la nostra povera madre Margherita, a cui i militari, insensibili a qualsiasi sentimento, “consigliarono” di recitare per noi l’Atto di Dolore. Anche le altre madri, già disperate(poiché in certe situazioni un figlio è di tutte)furono presto chiamate a far la loro parte…se non avessero portato lì gli altri giovanotti del paese nell’arco di 10 minuti, avrebbero risposta della nostra vita! Disperavano poiché i figli non erano rintracciabili e comunque non sarebbero bastati dieci minuti, neppur volendo, per andare e tornare e il tono perentorio delle guardie non faceva dubitare che i minuti concessi fossero effettivi. Dissi allora alle poverette che per noi sarebbe stata ormai morte certa e chiamare gli altri avrebbe solo aumentato il numero delle vittime. Non so, ripensandoci, se fu coraggio: forse più semplicemente era poco chiaro alla coscienza quanto pericoloso fosse ciò che ci stava accadendo…Si aveva vent’anni allora…c’era la paura, ma ancor più l’incoscienza e la speranza. Andarono in casa nostra a perquisire e, ahinoi, trovarono delle sigarette che avevo portato dalla Russia. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Colmi di rabbia(perché convinti che fossero sigarette di contrabbando provenienti dagli americani tramite i partigiani, quei maledetti!), non essendo in grado, erano italiani e non conoscevano una parola di russo, di decifrare quanto scritto sui pacchetti ed ancor meno capaci di ammettere la loro ignoranza, solo dopo parecchie insistenze riuscii a convincerli, o almeno credetti di riuscire.
(Continua…)