(…continua)
…Ci permisero di mangiare (ci avrebbero portato a Brescia, ci dissero e lì fucilati). Sotto gli occhi di nostra madre mangiammo del risotto, lo ricordo ancora. Nel frattempo aveva e, sulla strada che portava, e porta tuttora, al cimitero, Tranquilo doi Marte. Era tempo di andare…(chissà cosa passa veramente nel cuore di una madre in certi momenti…certo sensazioni che in quei tempi devono avere rese le madri una sola, tanto erano comuni queste impietose scene!). Scendemmo a piedi a Capodiponte, pe il sentiero che ancora oggi vi conduce, da Campanine, e l nei corridoi, alcuni condannati a morte strapparono i cancelli delle celle e del corridoio prendemmo la littorina per Breno. Rimanemmo per due giorni, poi fummo trasferiti nelle carceri civili di Brescia finché una notte…mentre eravamo nei corridoi. alcuni condannati a morte strapparono i cancelli delle celle e del corridoio e, preso per la gola il capo posto, gli ordinarono di aprire il portone che dava sull’esterno e scappammo in numero di 530. Noi scappammo con un bresciano che ci disse che ci avrebbe portati al sicuro, attraverso un sentiero sul monte Maddalena. Fiduciosi( anche perché, estranei alla zona saremmo incorsi facilmente in qualche retata) lo seguimmo, ma arrivati sul monte ci trovammo di fronte la contraerea repubblicana che ci diede l’altolà. Aveva sentito i nostri movimenti e ci aveva bloccati, in 30 circa, coloro cioè che, non essendo della zona, non sapevano dove andare a parare. Più o meno tutti prigionieri di guerra. Volenti o nolenti ci fermammo, chi a parole, chi preso letteralmente per la gola. Ci portarono dapprima in un’abitazione civile vicino alla galleria del castello, ci fecero di nuovo pregare e ci riportarono nelle carceri, questa volta nei sotterranei. Fummo processati da una commissione tedesca (fino ad allora erano stati militari italiani a trattare di noi, e devo dire che i tedeschi saranno sempre più tolleranti nei nostri confronti) presieduta dal colonnello della stazione di Breno, nel frattempo giunto a Brescia. Ci chiesero le modalità della fuga e, mentre i nostri connazionali ci condannarono a morte “sono scappati i condannati a morte, ora uccideremo voi per loro”, il colonnello tedesco ci disse che avevamo fatto la cosa più naturale approfittando di quella via d’uscita, che chiunque avrebbe fatto lo stesso e quindi le nostre colpe erano limitate. E’ probabile che a salvarci la vita fosse stata l’intercessione presso il maresciallo di una mamma del paese, che lo conosceva perché aveva più volte trascorso le ferie preso la di lei casa. Ci tennero comunque lì per tre mesi circa e non fu un piacere, poi ci mandarono a Casale Monferrato dove, disarmati, ci fecero fare da traghettatori sul Po, essendo il ponte stato bombardato. Il giorno del nostro ritorno a casa da Casale Monferrato fu un rivivere la movimentata e costretta partenza di alcuni mesi prima…Di nuovo un rastrellamento e stavano andando in fumo alcune baite fuori paese, dove i repubblicani pensavano si nascondessero i ribelli. Erano gli ultimi colpi di coda di quel mostro che era nato dall’alleanza di Hitler con Mussolini. Arrivò il 25 aprile…anch’io andai al Badetto coi partigiani a bloccare i tedeschi che si stavano ritirando…ma non potemmo fare granché. I tedeschi nella ritirata, ben armati, lasciavano strascichi di fucilate e roghi come testimonianza del loro passaggio dall’Italia finalmente verso la Germania, per il Tonale.
Ancor oggi mi capita di incontrare gente che come me subì le angherie di una guerra di cui a distanza di 45 anni non abbiamo chiara l’utilità, e con loro coloro che stavano invece dall’altra parte e non posso fare a meno di rivivere quegli interminabili momenti che questo mio racconto avrà rievocato in molti.”
( tratto da “…da Cimbergo”- S. Natale 1999- intervista di Sara De Marie)
Mi ricordo che lo zio Gioanì, interprete del racconto, non amava parlare di quel periodo della sua vita, e come lui tanti, ma ha rilasciato questa intervista affinché il conoscere la realtà della guerra vissuta in prima persona possa stimolare i giovani a costruire e mantenere la pace tra i popoli.
la foto: il monumento dedicato ai caduti di Cimbergo, costruito sul sagrato della chiesa parrocchiale